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momento gli apportò qualche giovamento. Condannato da una parte, egli era ancora prevenuto per l’altra, e come tale continuò ad essere trattato ancora per circa sei mesi dopo che gli fu data lettura e quindi passò in giudicato la sentenza di Roma (8 gennaio 1603); e il suo stato cambiò assai in peggio solo quando le autoritá religiose e quelle politiche ebbero motivi per esse gravissimi di allarmarsi1. I costumi carcerari del tempo nel periodo del carcere preventivo non erano affatto in armonia coi rigori dell’istruttoria. I detenuti, anche quelli di una medesima causa, erano gettati insieme alla rinfusa in un certo numero di cameroni mal guardati, dove erano in facili rapporti non solo con custodi compiacenti e abitualmente venali2 e con le loro famiglie, ma anche con persone estranee, che venivano a visitare questo o quell’amico approfittando della rilassata disciplina. Inoltre la magistratura inquirente non si preoccupava affatto di tenere separati quelli che erano giá in istato di accusa da quelli che erano ancora trattenuti in attesa delle risultanze delle prime indagini.

Queste circostanze cosí poco poetiche è necessario tenere presenti per seguire l’oscuro e intricato cammino fatto dalle poesie del Campanella per venire alla luce. Il brano di dialogo notturno tra il Campanella e fra Pietro Ponzio illumina di scorcio lo stato d’animo del poeta e dei suoi compagni di prigionia in quel tempo. Vivendo in quell’atmosfera di esaltazione reciproca e di grandi attese spesso fantastiche, che si alimentano tra pochi uomini costretti a vivere nei tormenti in segregazione, quelle poesie non solo erano una forma di legame spirituale tra loro — incitamento, consolazione, ed oblio —; ma essi s’immaginavano che, messe in circolazione pel mondo, fatte conoscere a personaggi di gran merito e autoritá, potessero contribuire a far volgere una piú benevola attenzione su quegli infelici ma non ignobili uomini, che marcivano nei sotterranei di Castel nuovo. Questo spiega meglio il desiderio incessante del Campanella e del fedele fra Pietro Ponzio di far uscire di contrabbando non solo le opere in prosa, destinate a consolidare la fama, giá abbastanza diffusa prima della prigionia, del filosofo e del pubblicista politico; ma anche i componimenti poetici, destinati ad allargare la sua fama in un altro

  1. Am. T. C., II, pp. 346-54 e cfr. Ind. ai nomi: Campanella, Ponzio (Dionisio).
  2. Si giuocava perfino tra carcerieri e carcerati. Vedi Am. T. C., II, 239.