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222 | poesie postume |
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Sonetto fatto sopra li segni
con suoi appendici
Toglie i dí sacri il Tebro e calca Roma,
Lombardia il Po, piú volte il sol s’oscura,
Scorpion e Tauro cangiano figura,
stelle son viste con l’accesa chioma.
De l’una e l’altra Sicilia gran soma
l’Inferno inghiotte, ogni erba fresca e dura
radeno i bruchi, mostra la natura
novelli mondi e la barbarie doma.
La giustizia si compra e ’l Verbo santo
sotto favole e scisme ognor si vende,
il premio a’ buoni usurpa il ricco manto.
Non c’è profeta: è anciso, ove s’intende
ben diece mila miglia dal suo canto;
Febo calato a terra si comprende.
A poco a poco rende
sua vita il mondo al primo Creatore;
viene il giorno fatale al malfattore;
ritorna il Redentore
a riveder il conto del suo gregge.
Par mal annunzio a chi lo guida e regge
con durissima legge;
e perché taccia il vero in carcer tetro
io sto; ma, con san Paolo e con san Pietro,
canto un occulto metro,
ché nel secreto orecchio alle persone
la campanella mia fa che risone
ch’or l’eterna Ragione
pria tutti i regni uman compogna in uno,
che renda il caos tutte cose all’uno.