Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
130 | scelta di poesie filosofiche |
in altro essere e vita sien recate.
S’e’ fregia nostra colpa e nullitate,
Dio ringraziar dobbiam, non lamentarci;
ed io, vie piú che gli altri, che son meno,
onde di guai mi truovo sempre pieno.
Ma, se de’ pannilini i vecchi squarci
carta facciam, che noi di morte rape
d’eternitade al seno;
che fia di me, se Dio di noi piú sape?
Séguita a mostrare che Dio si serve della nostra mutazione e nientitá a mostrare altre ricchezze d’essere, e che non possiamo lamentarci di lui se siamo travagliati e muoiamo; perché questo viene dal nostro non essere, non dal suo essere. E poi dice che, sendo egli partecipe di molto niente, come gli guai mostrano, non deve lagnarsi. Alfine si conforta che, se de’ stracciati panni si fa da noi carta per scrivere ed eternarsi in scrittura, tanto piú Dio de’ suoi maltrattamenti e stracciato corpo potrá fare cosa immortale, e glorificarlo in fama ed in vita celeste, ecc., perché sarebbe sciocco, non sapendosi servire del male in bene piú che noi, ecc.
madrigale 9
— Ma perché piú degli altri io fui soggetto
alle doglienze della vita nostra?
— Ché in questa o in altra aspetti miglior sorte,
e in quelli forza e in te saper Dio mostra.
— Ma perché l’una e l’altro io non ho stretto?
— Ché se’ parte e non tutto. — E perché forte
fu e savio chi a Golia donò la morte?
— Quel ch’era in lui, in te non è or bisogno.
— Perché così? — Ché l’ordine fatale
ottimo il volle, che Dio fece tale. —
Miser, so men, quanto saper piú agogno!
Miserere di me, Signor, se puoi
far corto e lieve il male,
senza guastar gli alti consigli tuoi!