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ingrato mi trade» del v. 10 è il frate Giov. Batt. Pizzoni; e «chi non volendo nel mio mal si piega» (v. 11) è frate Silvestro di Lauriana, secondo il tenore delle loro deposizioni (Am., Cong., ii, 95).

N. 16. — I «mostri» sono lo Xarava e i suoi. Il «serpentin bilingue» è il frate Giovan Battista Pizzoni, che, appena catturato, il 4 sett. 1599, in Calabria, rese una deposizione gravissima contro il C. Cfr. Am., Cong., i, 264-5; ii, 25, 53, e la Narrazione del C., in Amabile, Cast., ii, docc., p. 132.

N. 17. — V. 1: «l’altrui», di Maurizio de Rinaldis: canto cui dovette seguire la palinodia. — V. 5: l’«orrido tormento» del polledro, che aveva fiaccato le forze del C. (cfr. v. 9), e che fra Dionisio sostenne invece con incrollabile costanza. «Fu tormentato col tormento del poliedro; e delle 19 funicelle, con le quali era tormentato, sette se ne ruppero nell’atto della tortura datali per ribellione», diceva in una sua lettera uno dei giudici (Am., Cong., ii, 73); e ne rimase così «disnodato», che «fino a tutto giugno egli non potè firmare gli atti che lo riguardavano, e dovè segnarli portando la penna stretta tra’ denti».

N. 18, v. 12. — Intendi: i giudici del processo di ribellione e quelli del processo di eresia.

N. 20. — Cfr. la relazione d’un colloquio notturno, che dalle finestre delle loro prigioni tennero il 14 aprile il C. e Pietro Ponzio, scritta da una spia e allegata agli atti del processo (Am., Cong., iii, 328):

Fra Pietro. Li sonetti toi per tutto Napoli li ho sparso, e io li ho tutti a mente; e non ho piú gran gusto che leggere qualche cosa dello ingegnio tuo.

Fra Tommaso. Ne voglio fare allo nunzio mò.

Fra Pietro. Si, cor mio. Però fammi una grazia: fa’ li mei prima, cioè quelli che voglio per Ferrante mio fratello, e poi fa’ quelli del nunzio.

Fra Tommaso. Va’ te riposa, bona sera.

Pel son. al nunzio v. nota qui appresso. Ferrante Ponzio è qui lodato insieme con gli altri due fratelli: rappresentante egli del Valore, come Dionisio del Senno, e Pietro della Bontate: immagine, tutti insieme, delle tre persone della Trinitá divina. Pel v. 12 cfr. la «forma tricorporis umbrae, tergemini Geryoonae di Virgilio, En., vi, 289; vii, 202, e Ovid., Eroid., ix, 92.

N. 21. — In questo son., secondo l’Amabile (Cong., ii, 89 e 97), si può vedere quello che il C. diceva (v. nota prec.) di volere