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276 annotazioni


di un Berillarius si trova in una lett. del 31 ottobre 1607 di Gaspare Sdoppio (che quell’anno era stato a Napoli col C. e gli aveva promesso di adoperarsi per la sua liberazione) a Giovanni Fabri, che anch’egli s’interessava in Roma alla sorte del povero prigioniero (in Amabile, Cast., ii, docc., p. 29). L’Amabile non risparmiò indagini negli archivi di Napoli e altrove per trovar traccia di questo Berillario, che a lui parve dovesse essere il vero cognome di questo amico e confessore («eletto a purgar l’alme da’ brutti peccati», p. 163) del C.; «non senza tener presente che il nome ‘don Brigo’, addirittura insolito, poteva rappresentare una storpiatura», apparendogli «quasi certo», per la conoscenza della calligrafia del C., «che egli abbia scritto ‘don Hugo di Pavia’, e che l’Adami, nel pubblicare le Poesie, abbia letto facilmente ‘don Brigo di Pavia’»; e conchiude congetturando che don Ugo Berillario abbia potuto appartenere a’ basiliani (Cast., i, 48-49). Ma sarebbe strano che il C., il quale tante correzioni fece nell’esemplare della Scelta che si conserva nella Bibl. dei Gerolamini, non notasse questo errore di un Brigo, non mai da lui conosciuto, creato dall’Adami. E a me pare evidente che l’espressione «Berillo vivo» del commiato non avrebbe senso, se Berillo non fosse un soprannome dato dal C. a don Brigo, non nel senso generico di «beryllus» = «pietra preziosa» (come prima credette l’Amabile, quasi fosse un vezzeggiativo), ma in quello, ben appropriato al confessore, di «occhiale»; senso, in cui la parola era stata usata, nello scritto De beryllo, dal Cusano, certamente noto al C., che cita spesso questo scrittore (cfr. anche p. 213). Identificato poi Berillo del C. col Berillario dello Scioppio, confermandosi che la «singolare amicizia» di costui col C. è del tempo di Castel S. Elmo, mi pare si abbia una ragione di piú per prendere alla lettera la designazione del titolo «Canzone... fatta nel Caucaso», poiché con questo nome il C. si è sempre riferito a quella piú alta delle tre prigioni napoletane, in Sant’Elmo, e rifiutare quindi la data, costantemente asserita dall’Amabile, del 1613, quando il C. era in Castel dell’Uovo, in una condizione molto migliore che non fosse una volta nel Caucaso. I «quattordici anni» del madr. 2 non li computerei pertanto, come credè sempre l’Am., dal 1599, ma dall’inizio de’processi d’eresia (cfr. nel madr. 1 «per cui piú volte non mi fulminasti»), ossia dal 1591 (v. Gentile, Il primo processo d’eresia di T. C., in Arch. st. nap., xxxi, 1907, fasc. 4).