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annotazioni 271


di Nocera... racc. da Scipione de’ Monti, Vico Equense, 1585: ad essa si riferisce la lett. a lui del 9 apr. 1585 del Quattromani, Lett., pp. 151-2. È rist. dall’Egizio, o. c., p. 360, e dal Fiorentino, ii, 311. Cfr. Battelli, o. c., p. 54. — Il «buon Gaieta» è Giacomo, del quale il C. dovette essere amico, e lo introdusse come espositore delle proprie idee nel Dialogo politico contro luterani e calvinisti ed altri eretici (studiato da F. Fiorentino nel 1875: Studi e ritr. della rinascenza, Bari, 1911, pp. 391-421, e nel 1897 da G. S. Felici, in Rend. della r. acc. d. Linc., sc. mor., s. 5, vol. vi, pp. 109-31 e 166-91; assai scorrettamente edito da D. Ciampoli, Apologia di Galileo e Dialogo ecc. di T. C., Lanciano, Carabba, 1911: cfr. Amabile, Cong., i, 86-7). Cosentino anche lui, ma dimorante in Napoli; giurisperito e poeta: «molto intendente delle lingue e della poesia, come anco della filosofia telesiana», com’è detto nella raccolta delle Rime in lode della Castriota, dov’è di lui un madrigale (cfr. Toppi, p. 108). Un son. è nelle Rime di G. B. Ardoino in morte d’Isabella Quattromani, Napoli, Cacchi, 1590 (v. Spiriti, pp. 96 7). Ma non si conosce lo scritto a cui allude il C. qui nell’espos. e nella Metaph., vii, 16, 1: «Ergo patet undique pulchritudinem esse signum bonitatis, quae promaterialiter in Potentia et Sapientia et Amore consistit; ergo Caieta Consentinus omnes in dicendo quid, est pulchrum exuperavit scriptos, quamvis principia metaphysicae non attigerit». Lo ricorda anche nella Cittá del sole (ed. lat. in Philos. realis, 1637, p. 155: cfr. Opere, ed. D’Ancona, ii, 250). Con le parole dell’espos.: «rinnovò a filosofia», il C. accenna forse specificamente alla sua Philosophía sensibus demonstrata.

N. 69. — Con questo e i due sonn. seguenti si conchiude la serie dei versi consacrati al circolo intimo della sua scuola e de’ suoi amici, coi quali il C. ama trattenersi, almeno col pensiero, nella sua fossa; quantunque i sonn. della serie possano essere stati scritti in tempi diversi. Ma questi due al Bünau e all’Adami non sono anteriori al 1613, e dovettero essere scritti entrambi negli otto mesi dal febbraio all’ottobre, passati quell’anno dai due tedeschi a Napoli, i quali frequentavano il C., allora chiuso in Castel dell’Uovo, ma con tanta libertá di comunicazioni con l’esterno, da poter anche insegnare. Rodolfo e il suo maggior fratello Enrico di Bünau erano due nobili giovani di Meissen. Enrico era venuto in Italia fin dal 1603, compagno del Pflug e in relazione con lo Scioppio, entrambi amici del C. Rodolfo, sedicenne, imprese un