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annotazioni 263


in gloria piuttosto che Gesú suppliziato a modo degli schiavi; e cosi la croce gli riusciva sgradevole; e una volta, in presenza di una croce piantata sul margine di una via, disse al Petrolo che quella ‘gli facea mal ombra’».

Nel Sermo in die sanato Paschae di san Bernardo (Opera, ed. Mabillon, Parigi, 1719, 1, 899-906) è esaltata, coni’è naturale, la gloria di Cristo risorto, ma non c’è il paragone campanelliano tra Cristo risorto e Cristo crocifisso. È bensí dimostrato che la grandezza sublime di Gesú consiste nella sua singolare resurrezione (c. 5). Giacché di altri pure si legge che risuscitarono, ma per tornare a morire.

Per la cronologia di queste canzoni sul Primo Senno v. nota al n. 81.

N. 23, madr. 4, espos. — Cfr. Metaph., 1, 4, 1.

N. 24, madr. r, espos. — Cfr. Paolo, Ad Ephes., v. 13; Campanella, De sensu rer., iii, 5.

Madr. 4, espos. — Cfr. Metaph., lib. vi, c. 11, a. 1, e 1, 9, 7.

Madr. 5, espos. in fine. — Cfr. Campanella, Metaph., 1, 8, 1.

N. 25, madr. 2, espos. — Non pare che questa volta la portentosa memoria del C. lo abbia aiutato bene. Si tratta di un proverbio’(«suus cuique crepitus bene olet»), del quale Erasmo ( Adagia, chil. 111, cent. ív, n. 2) dice: «Suspicor ab Apostolio [sec. xv] e vulgi fece haustum. Nondum enim quemquam reperi cui suus crepitus bene oleret».

Madr. 3, espos. — Paolo, I Cor., vii, 2.

Madr. 5, espos. — Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 293-7, cit. da Aristotele nell’Etic. Nic., 1, 4.

N. 27, espos. — Gli Articuli prophetales sono stati pubbl. dalI’Amabile, Congiura, iii, documenti, p. 489 sgg. Intorno all’argomento v. le note dello stesso C. all’Ecloga, pp. 202-3.

N. 28. — Per la cronologia di questa canzone v. nota al n. 81.

Madr. 3, espos. — Cfr. Metaph., vi, 9, 6; vi, 10, 4.

Madr. 7. — Nella favola di Platone, a cui il C. si riferisce, Ἕρως veramente è, com’è noto, figlio di Πενία e di Πόρος. Ma Πόρος è detto da Platone Μἡτιδος υιός ( Conv., p. 203 b); e il ficino traduce «Porus Consilii filius», commentando: «id est summi Dei scintilla. Deus nempe ‛consilium’et c‛onsilii fons’appellatur, quia veritas omnium est et bonitas» (Opera, Basilea, 1561, t. 11, p. 1344: Oratio sexta, c. 7). Per l’espos. cfr. Metaph., vi, 10, 6 (dov’è pur detto che l’amore è «desiderium immortalitatis») e si combatte la concezione platonica dell’amore come stato di difetto.