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Dedica di T. Adami. — Christoph Besold, Wilhelm Wense e J. V. Andreä erano, con l’Adami, tra i conoscitori e ammiratori piú caldi che il C. avesse in Germania; e a loro l’Adami dovè comunicare gli scritti del C. anche prima di darli alle stampe. Il Besold tradusse in tedesco la Monarchia di Spagna (1a ed., 1620; 2a, 1623); l’Andreä alcune delle poesie (Geistliche Kurzweil, 1619:
cfr. Herder, Sämmtl. Werke hg. v. B. Suphan, xxvii, 347-62; una prefaz. l’Herder aveva premesso anche a un’ediz. delle Dichtungen dell’Andreä, Leipzig, 1793). E il Wense intitolava Civitas solis un suo disegno di societá religiosa dei rosacroce (cfr.
J. Kvacala, Protestantische gelehrte Polemik von seiner Haftent lassung, Jurjew, 1909, p. 14 sgg.). Di lui scrisse l’Andreä nella sua autobiografia. Ma intorno all’influsso su di essi esercitato dal C., oltre il cit. scritto del Kvacala, v. Sigwart, Kleine Schriftennota, Freiburg i. B., 1889, 1, 173-175, e lo stesso Kvacala, Joh. V. Andreäs Anteil an geh. Gesellschaften, Jurjew, 1899; Pust, in Monatshefte der Comenius-Gesellschaft, 1905, p. 272 sgg.
N. 1, v. 14 ed espos. — Anche altrove il C. paragona sé a Prometeo, e il suo carcere (propriamente la terribile fossa di Castel S. Elmo, in cui egli stette chiuso dal luglio 1604 al marzo o aprile 1608: Amabile, Fra T. C. nei castelli di Napoli, in Roma e in Parigi, 1, 11 e 94) al Caucaso, su cui fu incatenato Prometeo. «Ex Caucaso» p. e. è datata una sua lett. a Gaspare Scioppio dell’8 luglio 1607 e l’altra a monsignor Querengo dello stesso giorno (Amabile, Il cod. della lett. del Campanella, Napoli, 1881, pp. 58 e 63). Cfr. piú giú il son. «Temo che per morir non si migliora» (n. 71). E a quegli anni bisogna quindi assegnare questo Proemio.
N. 2. — La citazione della Poetica fatta nell’espos. non trova riscontro nella redazione di quella a noi giunta (cfr. tuttavia Poet., c. ii, a. 3 e iv, 1). — «Natan parlò in favola a David»: II Reg., c. xii.
N. 3, v. 71. — «Tata», voce dialettale che significa «padre»: qui «Dio padre».
Vv. 77-78. — La lacuna è volontaria, poiché vi si diceva delle adulterazioni subite anche dal Vangelo.
V. 84. — «Cinghi» evidentemente non è un plurale (come credette il Papini, 1, 33), ma indica il gran can dei tartari (Temugin) della seconda metá del sec. xii e della prima del seguente. Marco Polo (Il milione, ed. Olivieri, pp.61 sgg. e 79) lo chiama «Cinghys» e anche «Cinghi». «Cingus» lo chiama il C. nelle sue opere latine;