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246 | poesie postume |
17
[Venga l’anno novello apportatore di gioia
A Flerida, a istanza del medesimo]
Sorgi, Flerida mia,
ch’io sento risanarme; onde, tu essendo
e tu insieme ed io, forz’è che torni
al tuo vigor di pria;
sí come penai io, tu ancor patendo,
tu sol, che fai i miei giorni
tutti sereni e adorni.
Ciò, ch’a te piace e giova,
in me ancor si ritrova.
Passi il tempo fatal del nostr’affanno,
venga il sperato ben del novell’anno.
18
[L’universo intero canti Flerida
A istanza del medesimo]
Il biondo Apollo e ’l coro di Parnasso
il fonte pegaseo, gli verdi allori,
Pindo, Elicona cantin vostri onori;
e «Flerida» risuoni ogn’antro e sasso.
Tu, d’ogni vil pensier, non ch’atto basso
schiva, tu sola ordisci alti lavori;
e per te avvien che Lete strida e plori,
mentre al cielo veloce muovi il passo.
Flerida sii, cor mio, perch’altri pianga
d’invidia e gelosia, ma io teco rida,
ancor se ben di lungi e ’n spirto giunto.
A quel seno divino, ove s’annida
grazia, virtú e beltá, fruisca a un punto
quel ch’altri presso stenta, e a pianger sfida.