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238 | poesie postume |
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Sonetto alla signora donn’Anna
Se agli altri sei, con sincopata voce,
donna, Anna, domina, anima a me sei,
che signoreggi tutti i pinsier miei
e rendi il viver mio tardo e veloce.
Dominio ahi tirannesco! ahi vita atroce!
ché, volendo bearmi, non mi bei.
Bellezza e nobiltá, ch’agli alti dèi
converrebbe, hai superba, ch’a me nòce.
Superba, no, magnanima, appellarte,
ond’a picciol valor forsi non miri,
dovevo, e saggia per natura ed arte;
pur, benché tal virtú tant’alto aspiri,
dalla vera clemenza non si parte;
ond’anche spero requie ai miei sospiri.
7
Sonetto nel quale si ringrazia Amor d’aver ferito
con li suoi dardi l’amante
Qual grazia o qual destin alto ed eterno
mi scorse a rimirar quegli occhi, ond’io
ne meno l’alma in sì dolce desio,
che mal nel viver mio piú non discerno?
Passata la tempesta e l’aspro verno
di quei sospir, che giá doglioso e rio
fèrno un tempo mio stato, or, lieto e pio,
mi dona Amor nuovo piacer in terra.
Talché, o soave giorno, o cari strali,
che mosse la mia donna in mezzo al core,
quando prima ver’lei le luci apersi!
Oh, se mi desse il Ciel tanto favore,
che potessi mostrarvi, egri mortali,
a pieno il mio contento in dolci versi!