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234 | poesie postume |
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Invitato a cantar le laudi di Cesare
cantò cosi
In stile io canterei forsi non basso,
e farei molli i piú rigidi cori,
signor Aurelio, se tempi migliori
lo spirto avesse, tormentato e lasso.
Ma a me non lice piú gire in Parnasso,
né d’olive adornarmi, né d’allori,
che in atra tomba piango i miei dolori,
sol pianto ribombando il ferro e ’l sasso.
Dite or, ch’io ascolto voi, canoro cigno,
cui avvien che in pene e pure in morte canti
Cesare invitto e vincitor benigno?
Troppo lungi son io dai pregi e vanti
d’uom sí felice, a cui tutto è maligno
quanto adopran qua giú le stelle erranti.
30
Sonetto alla signora Olimpia
Donna, ch’Olimpia, dal monte onde Giove
e ’l cielo stesso il suo nome riceve,
degnamente sei detta, il camin greve
di tanta altezza a disperar mi muove.
Poi dal tuo sommo un dolce fonte piove
d’umanitá, che fa agevole e breve
l’impresa immensa e la mia voglia lieve;
onde m’accingo a far le prime prove.
Picciolo don ti mando, ma ben pegno
d’animo grande; onde virtú n’è vaga
tanto piú, quanto Amore nel suo regno.
Sul monte Olimpo un picciol ramo paga
d’oliva i vincitor, trionfal segno:
tu, ch’in te vinci me, cosí t’appaga.