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poesie postume | 229 |
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Sonetto III
in lode del medesimo alludendo alle sue arme
fatto nel tempo della sua confronta
Qual feroce leon, ch’in piú catene
insidie umane, ma non forza stringe,
e, per dar gusto, muro forte cinge,
all’uom e alla fortuna con sue pene:
se stuol di can plebbei, latrando, viene
per noiarlo, a difesa non s’accinge,
ma col ruggito e fiero aspetto spinge
la viil canaglia che valor non tiene;
tal fu Dionigi in mezzo a tanti ebbrei
congiurati all’estrema sua ruina,
come contra Sanson gli filistei.
L’arme ponziane veggendo, indovina,
chi vince a scacchi, il fin de’ versi miei:
dama fece il leon la sua pedina.
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Sonetto fatto in lode di tre fratelli di Ponzio
Valor, Senno, Bontate io adoro in cielo,
che fanno in tre persone una sostanza,
ond’ho l’amar, il saper, la possanza,
quanto dell’esser mio velo e revelo.
L’altra, c’ho in terra con simile stelo,
ond’ho la vita, gli atti e la speranza,
è la trina ponziana fratellanza
per valor grande, per senno e buon zelo.
Ferrante con Dionigi e Pietro fanno
un composto d’amor saggio e possente;
ed io sto in mezzo a ciò che ponno e sanno.
Taccia de’ Gerion l’antica gente;
ch’or le tre ierarchie mirando stanno
la lor sembianza con l’Omnipotente.