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148 | scelta di poesie filosofiche |
madrigale 7
Il giuoco della «cieca» per noi fassi:
ride Natura, gli angeli e ’l gran Sire,
vedendo comparire
della primera idea modi infiniti,
premiando a chi piú ben sa fare e dire.
Se i nostri affanni son divini spassi,
perché vincer ti lassi?
Miriamo i spettator, vinciam le liti
contra principi finti, travestiti.
Come tra gli uomini e le cose basse si fa il giuoco della «cieca» e si travestono l’idee in varie fogge, e ride Dio e la Natura e gli angeli, e preparano premio a chi piú sa ben fare e dire. E non ci è risposta piú acuta di questa tra savi. Dunque solo i nostri affanni sono giuoco di Dio, e sperano premio, ed è stoltizia fuggirgli tanto.
madrigale 8
Il carcere, che ’n tre morti mi tieni
con timor falso di morir, dispreggio.
Vanne al suolo, tuo seggio,
ch’io voglio a chi m’è piú simile andarmi.
Né tu se’ quel che prima ebbi io, ma peggio,
che sempr’esali, e rifatto altro vieni
da quel che prandi e ceni:
onde è lo spirto tuo nuovo ogn’or, parmi.
Or perché temo in tutto io di sbrigarmi?
Si risolve sprezzare il corpo, che ci tiene in tre morti con timor di morir falso. E poi non è lo stesso corpo in cui fu posta l’alma, perché sempre altro si perde esalando, altro si rifà del cibo: e cosí lo spirto animale ancora. Però è pazzia far tanta stima di questo nostro vivo male, ecc.