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128 | scelta di poesie filosofiche |
Dice ch’e’ solea immaginarsi che Dio fa come noi a’ vermi nati dentro il corpo nostro, che gli uccidiamo e non sentiamo i prieghi loro, o come il sole e la terra uccidono gli secondi enti, da lor generati. E che Dio sia il tutto, e gode che dentro a lui si mutino senza annullarsi le cose, ma passano sempre in vario essere vitale, ecc. O che Dio pure si mutasse, ma con dolcezza, come si favoleggia di Vertunno e Proteo, e che dal suo mutamento dolce nasce il nostro mutamento; e cosí l’affanno per conseguenza a noi, sendo noi parti, e non il tutto.
madrigale 6
Or ti rendo, Signor, fermezza intègra:
ché i prieghi e ’l variar d’ogni ente fue
da te antevisto, e non ti è un iota nuovo,
ch’un tuo primo voler possa or far due.
D’essere e di non essere s’intègra:
per l’un la formo, per l’altro la muovo;
che da te sia, da sé non sia, la truovo;
per sé si muta, e per te non s’annulla
la creatura; e stassi, te imitando;
e mutasi, tua idea rappresentando,
che in infinite fogge la trastulla,
per non poterla tutta in un mostrare;
infinitá mancando
a questa, nel cui male il tuo ben pare.
Corregge la falsa opinione predetta, dicendo che Dio è immutabile, e le orazioni non poter dal suo primo volere mutarlo, perché giá avea antevisto i prieghi nostri e determinato se era bene esaudirle o no. Poscia mostra che il mutamento non viene dall’essere né da Dio, ma dal nostro non essere; e che, sendo noi composti di ente e niente, quello da Dio ricevuto, e questo da noi, sempre torniamo al niente, e Dio ci tiene, ché non ci annulliamo. E questo ritenimento è figurarsi con nuova idea sempre; e che la creatura sendo finita, e l’idea infinita, non può in una sola mutazione tutta parteciparla; e però Dio lascia questa mutazione del niente, servendosi a bene dell’ente, ecc.