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434 t. campanella

pp. lxxix-lxxxi, cccxxx-cccxxxvi, clxx-clxxi) la IV, XXXII e XLI; dal 1901 al 1904, il Favaro nel v. XI (pp. 21-6, l. 460) la XXXI, nel seguente (pp. 31-3, 287-8; ll. 982 e 1231) la XXXIII e XXXV, nel XIV (pp. 255, 346, 366-7, 373, 397, 414-5. ll. 2157, 2261, 2284, 2289, 2309, 2330) la LX, LXII e LXV-LXVIII, nel XVII (PP- 352-3, l. 3756) la CXVIII, che l’editore «distingue col doppio asterisco», perché erroneamente crede di essere lui «a darla la prima volta alla luce» (v. X, p. 9); ed in fine, nel 1908, J. Kvacala nel Th. Campanella und Ferdinand II (pp. 36-9, n. 3) la XIV. All’incontro, l’Amabile nel v. III del Fra Tommaso Campanella, la sua congiura ecc. (pp. 13, 596-602, nn. 4 e 520) ristampò la V ed VIII; e ne’ Documenti del v. II dell’altra sua opera maggiore (pp. 56-67, 71-4, 69-70, 163-7, 233-6, 275-6, 237-41, 277-80, nn. 184. 185, 192-6, 191, 235-40, 302, 303, 305, 332, 306-9, 333-5) la XVII, XXXIII, XXXV, XLIV, XLV, XLVII, XLIX, L, LII, LX, LXII, LXV-LXVIII, LXX, LXXII, LXXVII, LXXVIII, LXXX, LXXXIII, LXXXV, LXXXVI, LXXXVIII, XCVI e CXVIII.

Nella prefazione del Fra Tommaso Campanella ne’ castelli (p. xxxv) l’Amabile deplorava che «le lettere del Campanella da tutti i piú cospicui raccoglitori, dallo Struvio, dal Troya, dal Libri fino all’Albèri ed al Berti, ci fossero state date con inesattezze incomportabili». E le sue parole ci tornano ancora a mente dopo quarantanni, sebbene fra i raccoglitori, ed al primo posto, oggi vada noverato appunto lui che stampò ventotto lettere e ne ristampò altrettante, aggiungendo nel testo o nelle note delle sue opere elenchi di errori e correzioni per non poche di quelle che non potè riprodurre. Egli è che il Campanella ordinariamente non è uno scrittore piano ed accurato, e non lo escluse il 1609 con lo Scioppio (1 . XXVII, p. 144): «tametsi probatissimos scriptores perlegi, tamen theologorum tedio et bibliorum sacrorum everterunt vel potius miscuerunt emendatimi sermonem barbarismis; barbara deinde philosophorum et astronomorum arabum lectio magis adhuc latinitatem meam inquinavit. Itaque nisi animimi seduto intendam, latine vix scribam. Ego vero rebus nunc intentus ac sensibus, vocabula et phrases parum cordi habeo». E delle varie sue scritture le piú difficoltose sono forse le lettere, le italiane non meno delle latine, per il modo anche onde l’autore le stese e di cui a volte s’impensieriva, confessando (11. LXXXII e LXXX VI, pp. 295 e 303): «non ho lena di copiare», «scrivo correndo», «scrivo in fretta