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Tobia Adami, dopo «lunghi viaggi», allo scorcio del 1616 ritornato finalmente in patria, scrisse il 26 gennaio dell’anno appresso da Norimberga a Galileo per manifestargli come ne sospirasse «la felice conversazione ed affettuosissima gentilezza», sebbene stesse fuori d’Italia dal 1614; e non meno per chiedergli notizie del Campanella: «del nostro Campanella, si è vivo o morto, si è libero o nella prigion antica, non sento nulla; spero... Vostra Signoria non tralasciará di dirmi quel che sa»1. Pur troppo, attese invano la risposta; ed il 10 novembre 1617 da Trebsen gli riscrisse per avere la medesima notizia: «utrum autem ille bonus vir Campanella in vivis adhuc sit an mortuus, in carcere an liber, resciscere dudum nihil potui: si quid de eo tibi constabit, ... iterum obsecro ne me celes»2. Egli sentiva una profonda pietá per l’infelice prigioniero, ammirando nel «conterraneo di Bernardino Telesio» non saprei se piú la tenacia della memoria ed il vigore dell’ingegno o il singolare acume del giudizio o il caldo amore del vero.
Nella seconda lettera veniva offerto all’astronomo pisano, se gli fosse stato grato, un libro che nel principio di quell’anno intorno al Campanella era uscito in Francoforte, a spese di Goffredo Tampach, dalla tipografia di Giovanni Bringer, il Prodromus philosophiae instaurandae, idest dissertationis De natura rerum compendiion secundum vera principia, ex scriptis Thomae Campanellae praemissum. L’autore, l’Adami, nella prefazione a’ filosofi della Germania prometteva di pubblicare parecchi manoscritti del Campanella, gelosamente da lui custoditi «tanquam chara sua pignora», la Filosofia epilogistica, alcune Questioni, il Senso delle