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CXX

Al cardinale nipote Antonio Barberini

Per colpa de’ minervisti il clero corre il rischio di perdere i propri beni e giurisdizioni, non conservando che il ministero de’ sacramenti, come il Campanella da tre anni va scrivendo a Roma senza però che le sue abbiano effetto. Ciò che egli n’ha ottenuto è il vedersi privato delle sue opere e della pensione; pur tuttavia, resta fedele, ma libero, servitore del papato e de’ Barberini.

Eminentissimo e reverendissimo
signor padrone colendissimo,

Come a protettor di Pranza e divoto ex toto corde secondo con gli effetti dimonstra, io come servo ex toto corde e salvo sotto la medesma corona, fior del mondo e sostegno di santa Chiesa, mando a Vostra Eminenza per appendice de le feste ch’ell’ha fatto, l’ecloga ch’ho fatto io nella nativitá del principe il delfino. La supplico che spedisca il breve del padre Bellis, poiché son presentati giá a monsignor nunzio li requisiti che Vostra Eminenza mi commandava. E sappia che questa renitenza ha impedito parte della conversione, ma piú che tutto l’opinione che si diffende nella Minerva, ch’ogni cosa ed ogni effetto è da Dio predestinato e fatto efficacemente, talché noi siamo essecutori e non consecutori del bene e male ordinato. Questo punto fin ora trattenne li principi a non consentire a Lutero e Calvino predicanti che l’ecclesiastici non devono avere beni temporali, pensando che da quelli con tal aiuto si mantiene la puritá della fede in Roma. Ma adesso che per tutto s’è promulgato — ex Alvarez, ex Bannes etc. — che è la medesima fede di papisti e de uguenotti, poiché l’una e l’altra determina con decreto absoluto e non condizionato tutti li atti naturali ed umani, giá credeno che diffendere il papato non è diffendere la fede, ma l’autoritá usurpata dal papa sopra vescovi e principi.