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lettere 33

tanta, ignota al re, alle cui orecchie veritá non arriva: ché la gente bassa non ardisce dirla, e gli satrapi mi son contrarii e l’un con l’altro si rispettano; e l’orecchie del principe son assediate per me sempre. Anzi con ragioni di stato sataniche li persuadeno che non mi doni alla chiesa, e non mi lasci defensar secondo il canon pastoralis De sententia et de re indicata in Clementinis e secondo la ragion naturale, dubitando non si scoprano li latrocini di Calabria e l’infamia ch’han dato alla provinzia di sediziosa, e per conseguenza al re di tiranno. Son li regi gelosi dello stato piú che della innamorata; e la gelosia fa parere ogni mosca cavallo; e crede ciò che li è detto, e cerca tôrsi via ogni sospetto o vero o falso; quindi è che tutti i filosofi delle nazioni, come scrive Piatone e Senofonte nella difesa di Socrate, fûr accusati d’eretici e ribelli, e cosí tutti profeti ed apostoli e nostro signore Giesú.

Dunque, sappia che la ribellione mia è come quella d’Amos contra cui scrissero li satrapi: «rebellat contra te Amos, o rex Ieroboam»; e di profeti si legge tal accusa: «benedixit Deo et regi». E la eresia è cosa finta da noi frati per schifar la prima furia, perché ci voleano far morire inconsulto pontifice, facendo processo contra il papa e cardinali e vescovi, e contra lo stesso viceré ch’era mio amico, che voleamo ribellare il regno a tempo ch’erano interdetta la cittá di Nicastro e scommunicati tanti officiali, principi e baroni, ed ogni piazza era piena di dispute di giurisdizione, ed occorsero inondazioni, terremoti e visioni in aria, per le quali io predissi la rovina della provinzia, come avvenne; ché la corsero armata manu e la disertâro d’ogni bene, ed ognun si componea in danari, perché si dicea che ci facean morire senza processo.

Talché per parer nemici al papa, si disse la eresia: e giá s’è visto il vero, poiché fummo posti a giustizia e tutti liberati, e cosí anche della ribellione, ed io non ho altro testimonio esaminato in mio loco se non Maurizio Rinaldis, a cui fu promesso la vita sub verbo regio, che dicesse su la forca quel ch’in mille tormenti negato avea; e poi l’ingannâro. Fra Dionisio fuggío ed appostatò: ché tanto si grida lupo lupo