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32 | t. campanella |
VIII
A Cintio Aldobrandini cardinale San Giorgio
Domanda all’eminentissimo Cintio Aldobrandini, di cui ha sempre desiderato di essere servitore, di farlo venire a Roma: egli che si è conservato con la stoltezza dove era odiosa la virtú, confuta il tentativo di ribellione, dice finta l’eresia, mostra quanto poco abbia lui da vedere con quel che fece fra Dionisio; e dopo d’aver discorso de’ giudici passati e presenti della sua causa, ripete le sue proposte e promesse ed elenchi, ricorda che da dieci mesi tratta per avere un colloquio con l’inquisitore, col nunzio, col viceré, ed ora che finalmente ci è riuscito, è rimasto deluso, perché ha dovuto verificare che si burlano di lui: non può esser giudicato che dal senato de’ cardinali, egli che è il solo che può far intendere il vero.
All’illustrissimo e reverendissimo
monsignor Cardinal Sangeorgi, padrone colendissimo
Il glorioso nome ch’ha Vostra Signoria illustrissima di favorir la virtú non solo ne’ servi suoi, quia «et ethnici hoc faciunt», ma in tutte le persone, e stimarsi a tutti nato, sempre mi fe’ desiderare d’esserli servitore, come sa; né mai ne fui degno. Però adesso questa sua apostolica cortesia mi fa animoso a dimandarle grazia che s’adopri con Sua Beatitudine ch’io venga in Roma a difensar la causa mia e far cose di grande importanza per la chiesa di Dio, che non per altro, come sentirá, m’ha conservato da tante morti in mezzo di nemici potentissimi, col freddo dove nocea il caldo, e con la stoltizia dov’era odiosa la virtú. Né senza miracolo, da tante persone guardato, scrivo questa; e prego non si sappia dalla parte, perché piú non mi affligga in questa fossa oscura e puzzolenta, dove mai vedo cielo né luce, sempre inferrato, e di fame e di guai oppresso.
E certo queste son l’armi con le quali meco combatte la parte avversa; ché di ragioni le darei, d’ogni cento, cinquanta e la mano, se con quelle volesse oppugnarmi e non con violenza