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366 | t. campanella |
CIX
Ad Urbano VIII
I medesimi lamenti, le medesime promesse e richieste
che si leggono nelle lettere di quest’anno.
Vox incessanter clamantis donec exaudias: «Usquequo, Domine, oblivisceris mei in finem? etc.»: io che servo a Vostra Santitá nel secolo presente e nei futuri, non solo stendendo ma anche amplificando gli onor suoi nella memoria universale, son uscito dalla memoria di Vostra Beatitudine in maniera che mi lascia morir di fame e di scommoditá son dieci mesi, sapendo anche quanto son poco durabili le provviste di francesi a’ quali servo fedelmente, e non ho pane. Né però gl’incolpo, vedendo che neanche provedono a se stessi. E con aver venti millioni d’uomini e ventisette million di scudi di rendite al presente, quanti non ha il turco e Spagna ed Italia, e son ascesi questo anno a trentacinque, ed han piú pane e vino e carne che il resto della cristianitá d’Europa, e pur etc. ... Io scriverei gran cose, se Vostra Beatitudine mi desse licenza, in beneficio della cristianitá che perderá li beni temporali, perduti li francesi; e si perderanno se non tornano all’obedienza di Carlo Magno, com’io loro mostrai e lo scriverò se’l comanda.
Credo Vostra Beatitudine ha visto il libro De monarchia hispanorum, ma non quel ch’adesso scrivo con etc. (?). Provedami dunque Vostra Beatitudine, come fa a tanti altri intra e fuor d’Italia; né pur son inutile a santa Chiesa, avendo ridotti giá li dottori ed ora li principi catechizo all’obedienza di Carlo Magno. E pur il libro stampato in Iesi, che può con facilitá senza rumore metter in effetto questo antico costume di principi, per gusto e suggestion di calunnianti sta serrato; e li libri di nemici al papato aperti, finché venga la commoditá, com’han la voglia, di pigliarsi tutti beni temporali della