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anni: volea lui esser introdotto quando stava col cardinale, ed affrettò la mia partenza e gaudio di nemici, prima ch’indursi a farlo con tanti pretesti. Di piú, ha scritto la vita mia e non vol darla al padre Giacinto no[mine] etc.; item li dettai un libro De libris propriis col giudicio di tutti scrittori di tutte sorte di scienze, e non ha voluto che si veda. E si serve di quello in sue opere. Né ciò mi dispiace, ma il modo, perché li donai lo scritto De conflagratione Vesuvii e si n’ha servito. Io tengo tutto per baia ed a tutti do i miei libri; mi duole che me li tengono e del loro son avari, quando non dottrina ma sol aiuto cercavo: quando i spagnoli cercavan farmi odioso al papa, passò etc. ... lui rispose: «Non voglio dar le mie fatiche, che altri s’onori». Favilla rispose: «Vostra Signoria non ha parte in quelli, perché vi fûr dettati dal padre e da noi». Veda Vostra Signoria s’ho torto; e lui si lamenta con che ragioni. Con tutto ciò io li scrissi e scrivo amorosamente e le dico ex corde: che ciò nulla mi move. M’ammiro che lui scrive ciò a Vostra Signoria illustrissima.
All’illustrissimo e reverendissimo signore
l’abbate Fabri, monsieur de Peresc,
del parlamento reggio, padrone colendissimo,
Aix.
XCIII
A monsignor Francesco Ingoli
Gli dá notizia di quanto lavora per la fede.
Io lavoro per la fede in gran cose. Desidero il Reminiscentur fatto per li missionari, chi tiene il padre Mostro, e Vostra Signoria illustrissima sa quanto è utile, non manchi