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312 t. campanella

LXXXIX

A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc

Rimane assai scontento per quel che verifica all’apertura del baule che nella sua fuga ha lasciato a Roma; dá poi notizia d’una scrittura del Morini, e desidera d’avere dal Gassendi quanto gli cercò per la stampa.

          Illustrissimo e reverendissimo
               signor padrone osservandissimo,

Io son restato assai scontento nell’apertura del baullo, non ci trovando quel che dovea esser per gusto di Vostra Signoria illustrissima, e scrissi a Roma furiosamente, e credo farò effetto; e mandai per un libro di questi stampati. De monarchia Messiae — credo ch’il cavalier Pozzi l’inviará a Vostra Signoria illustrissima — ed altre cose. Mi parve esser bene scornato e burlato delle medaglie, del pecorello e del Telescopio. Di piú, mi doglio infinitamente che vi vennero dentro quei libretti stampati e manoscritti; ché si capitavan in man d’altri che di Vostra Signoria illustrissima, potean esser di gran travaglio, trattandosi di maestá. Sono stupito che quel giovane attenda a queste cose pericolose; e li dissi al zio ch’io l’averei brugiato se non eran suoi. Basta: lasciâro piú cose di mandare per queste sue baie e per libri che qua si trovano. Mandò fin al Guicciardino. Oh bella. Io stimo assai quel giovane e li fo correzione debita.

Vidi la lettera del signor Cassendo al signor Deodato, che molto m’ha consolato, riconoscendo, quel che pria conoscevo in lui, animo di vero filosofo e che piglia le cose come vanno intese. Assai sfacendato e poco prudente, se non maligno, fu chi scrisse il reverso di quel ch’io intendo e parlo. Lodato Dio, che si tratta con chi sa. Credo ch’il signor Deodato averá scritto a Vostra Signoria illustrissima le correzioni ed avvisi