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s’è sigillato dal conte ambasciatore; e se a Vostra Signoria han mandato la chiave, com’io desideravo, perché vedesse i pensieri di me servo suo; e se va soprascritto al vescovo di Sanfloro — io stamperò quelli che da Roma fur approbati, e poi gli altri sendo revisti dalla Sorbona, la qual adesso, son quindici giorni, tiene il libro De praedestinatione, tanto necessario a questo secolo etc.; — ed in particolare se li mandò lo Specillo dello Stigliola. Io credo che Vostra Signoria illustrissima l’abbia subito inviato, e che sia vano scriverli che faccia quel ch’a lei piace.

Desidero ch’il signor Cassendo mi scriva qualche cosa della vostra famiglia etc.; perché voglio onorarmi in alcuno di questi libri col suo nome, e per memoria di quel che devo a tanta generositá. Mi par soverchio insinuar a Vostra Signoria illustrissima quel che deve fare e come mandarlo sicuro, perché non si dica: «sus Minervam docet». Lo sto aspettando con aviditá. Le farò parte d’alcuni pensieri dati a questi padroni, quando si potran publicare. Con monsignor Rossi io li scrissi a lungo; e come giá li tesorieri mi davano denari per tre mesi, oltre quelli che da principio mi mandò Sua Maestá cristianissima per accommodarmi.

Tutte le cose per grazia di Dio van prosperamente, eccetto quella di mio nepote che ancora sta carcerato, e tutti li altri fûr liberati; ma lui disse ch’era clerico, com’è vero, ed ha la bolla del papa di poter medicare. Ma spero ch’uscirá, perché la falsitá è manifesta. Potrebbe nocerli la mia venuta; e per questo io non ho fatto manifesti ed altro che si converrebbe a scoprir e forsi punir la malvagitá di chi lo perseguita. Ho visto quel che Vostra Signoria filosoficamente scrive al buon Galileo nostro, degno scritto di chi ed a chi lo manda. Non ho cessato io di far quel che devo per l’amico, e scriverei anche a Nostro Signore a cui sempre scrivo e da cui qui ricevo e favori e danari — ciò si taccia, — ma sarò ripreso da Sua Beatitudine di molto imprudente, come mi suol fare. Scriverò al cardinale Colonna ch’è tornato in Roma e mi scrive e s’offerisce. Io resto a Vostra Signoria illustrissima