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218 | t. campanella |
sape[r] piú che li volgari cortigiani, giá che tanto mi noce l’avere filosofato per servire a’ padroni non volgarmente. Quanto all’alterazione, non può nocere né dar causa di lamentanze a nessuno, mentre si va con questa regola: dare a’ cardinali e vescovi quei titoli de’ quali si fregiano i principi. Dunque, né maestá né altezza, né eccellenza né signoria né mercé, vocaboli di Spagna, né altri di altra nazione a lor conviene; ma altri cavati dalla filosofia morale per utile della republica e dalla santa scrittura. Quanto sia utile il titolo ed a che serve e che utilitá reca al titolato, a’ titolanti, alla republica, io lo dichiarai in quel discorso; e come dalla confusion di titoli presenti ne nascon inconvenienti a tutta la politica e tardamenti di beni, dove non c’è effetto di male. Resto al suo comando.
Roma, [a’ primi di aprile] 1627.
Il povero Campanella.
LV
Ad Urbano VIII
Difesa dell’ortodossia della sua dottrina astronomica, e promessa,
se gli sarà comandato, di migliorarla.
Non senza providenza divina il divino intelletto di Vostra Beatitudine che nella faccia della veritá mira con disgusto ancora i nèi, dubitò sul Commento dell’oda di Vostra Beatitudine, perché dalla resoluzione io manifestassi quel che nelle promesse a Paolo V di bona memoria scrissi, la tacita congiura di scienziati nel nostro secolo fatta ad oscurar la veritá evangelica. La quale scoperta, ne siegue in parte la conversion delle