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200 | t. campanella |
XLIII
Al cardinale Alessandro d’Este
Supplica si pigli la protezione sua, in modo che abbia fine il torto che gli si è fatto, ed abbia principio la sua ragione a tutto il mondo manifesta.
Scrissi un’altra volta a Vostra Signoria illustrissima e reverendissima come a protettor delle virtú non solo d’Italia, patria mia, ma di tutto il mondo, secondo l’usanza antica della sua serenissima casa, suplicando che pigliasse la protezion mia, in modo ch’avesse fin il torto che mi s’è fatto, ed avesse principio la mia ragione a tutto il mondo manifesta e da’ nemici confessata, nel modo che l’informerá quella persona virtuosa che li presenterá questa. E sopra tutto che siano perseguitati in me li vizi, e non le virtú che gli uomini dicon esser in me, e io lo confesso a confusion mia ed a grazia di Dio: e quanto sian vere, l’indice dell’opere che mando a Vostra Signoria per benefizio universale, e qualche scritto mio ci lo averá fatto palese. Per tanto la vengo a pregare che non lassi l’impresa come troppo facile, perché si abbatte contr’a «spiritualia nequitiae»; né a me diffícile, perché s’a lei conviene solo quel ch’è agevole, non sará ella qual tutto il mondo la stima, né camminerá a quel grato fine a che è nata. Il signor presente le dirá il modo e ’l bisogno, e l’assicuro inanti a Domenedio, che di questa impresa ne sará gloriosa in celo ed in terra: «et carnes, ossa mea dicent: Domine, quis similis fui, eripiens inopem de manu fortiorum eius, egentem et pauperem a diripientibus ausit?». Dunque, la Signoria Vostra illustrissima «accedat ad cor altum in quo exaltatur Deus pro me»; e se l’è malagevole, dicame a chi si deve ricorrere