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lettere 9

maggiore al quale il suo sapere e misericordiosa giustizia e religioso zelo l’accompagnano.

 [Roma,] da S. Sabina, a dí 21 di decembre 1595.

Di V. P. reverendissima
affezionato servitore
Fra Tomaso Campanella.


VI

A Paolo V

È un lungo appello con cui chiede di esser tratto a Roma e di esservi giudicato dal Baronio e dal Bellarmino: e per mostrare che la sua causa non può esser terminata a Napoli, non solo rianda i fatti di Calabria con tutte le sue orribili conseguenze, ma esamina anche la sua condizione giuridica, dando per giunta la spiegazione delle promesse, delle finzioni e degli inganni a cui era ricorso; ed a cui appone un importante poscritto per l’interdetto di Venezia destinata, secondo lui, a soccombere.

Beatissimo Padre,

È naturale anche ai bruti deboli servirsi dell’industria contra li possenti, che però «ingenium mites, vim meruere truces». Ond’io tutte le stratagemme che in questa causa ho usato, ammaestrato da essempi di savi e da san Geronimo (allegato 22, q. 2), non per fuggir la giustizia ma la violenza, risoluto al martirio, le finisco in questa appellazione ch’ho fatta a Vostra Beatitudine, e per questa faccio: protestando che col Santo Officio io non uso amfibologia, perché da quello non ho provato mai giustizia finta, la quale è crudele, ex Gregorio, ma vera sempre, la qual è compassionevole: essendo il contrario, m’offero alla pena.

Dunque le revelazioni ch’io proposi alli reverendissimi nunzio e di Caserta, e li miracoli per prova di quelle, son