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6 | t. campanella |
IV
Al medesimo
Supplica gli si faccia scrivere se egli deve accettare la cattedra di metafisica offertagli da gentiluomini veneti a Padova, oppure attendere, come gli era stato promesso, l’invito di venire a leggere a Pisa, non ignorando che, fin dal giorno che parti da Firenze, si cercava da alcuni ipocriti di dissuadere il principe dal mantenere la parola data.
Serenissimo Granduca,
Si tratta in Padova di darmisi una lezione di metafisica nello studio da alcuni gentiluomini; a’ quali dissi ch’avevo promesso di servire Vostra Altezza e per sua grazia gli ero obligato. E risolvendomi di finirla, perché veggo la cosa fredda, come da Firenze mi si scrive, mi parve non far altro senza farcilene motto. Tanto piú che mi parrebbe digradar dal mio pensiero, mostratomisi confermar generosamente da Vostra Altezza mentre essendo con essa mi disse non solo volermi favorire, ma mi persuase con giusti consigli lasciar i frati donde dipende la forza della mala fortuna mia, con apportarmi esempi di molti virtuosi da loro perseguitati e da sé rilevati. Anzi mi giovò con danari; e scrisse al padre generale che mi desse licenza di venire a servirla e di stampar altresì.
Sicché sapendo io che le parole de’ principi sono eterne, e non devono mai aver fatto errore, né in fatti ed in parole, dove la cosa particolarmente di stato non ricercasse altro, abbisogna credere ch’io perda assai d’onore, cascando da quel prudente pensiero che avevo, sotto l’ale di principe sì grande schivar la fortuna alle muse nemicissima; né sarò mai io che m’imagini ch’ella mutasse parere (a detto d’altri), non essendo proprio di signori: benché mi si scrive che alcuni,