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Irene da Spilimbergo. | 91 |
palpebre, tanto ben elementati e posti, che da loro scendeva meraviglioso diletto; da’ quali mandando, quasi da accesa face, alcuni raggi amorosi ne’ cuori de’ riguardanti, gli eccitava, e li rendeva disposti a ricevere e conservar per lungo tempo l’imagine del volto suo: onde spesso l’era detto che ella aveva gli occhi maghi.
La forza degli occhi suoi era molto ben conosciuta da lei, perchè quasi sempre li teneva ben aperti, e accompagnandoli con certo suo dolce riso procedente da bellissima bocca, li reggeva con maestà insieme onesta e soave.
Questa era l’unica civetteria a cui si lasciasse andare: civetteria assai pudica; e veramente ella fu gelosa oltre ogni dire dell’onestà. Si narra che avendole un giorno un gentiluomo di casa sua, fatto segno di voler darle un bacio, essendo ella ancor in età molto puerile, fece di ciò risentimento grande, tenendosi a biasimo che le fosse fatto un tale atto; ed essendole detto che ciò non importava niente, per essere così fanciulla, rispose in questo senso: che nel baciare non si dovrebbe avere rispetto all’età, ma baciar quelle che non sanno ancora quanto importi un bacio a una donzella.
Sdegnava, segue l’Atanagi, ragionamenti bassi e da donnicciuole. Pronta nel motteggiare, acuta nel rispondere, e riservata nel punger altrui con le parole. Fu nemica mortale della maldicenza, in modo che, tra per questo, e perchè credeva le altre donne simili a sè, era difficile ad esser persuasa che una donna fosse inonesta; ma, come se ne chiariva per testimoni degni di fede, non l’avrebbe voluta conoscere, nè voleva sentirla più ricordare.
Stimava quei gentiluomini che, oltre alla nobiltà, avevano