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56 | Donne illustri. |
suoi maestri ebbe il gran platonico Francesco Patrizio, che la introdusse alla conoscenza della lingua greca; Giovan Maria Barbieri, che la addestrò nella toscana, ed un rabbino Abramo, che le insegnò l’ebraico. Le donne di quell’età, non solo in Italia, ma in Inghilterra e in Germania, studiavano le lingue dotte, come appena si fa ora l’inglese o il tedesco, senza nota di pedanteria e senza danno de’ più gentili esercizi.
Ella dettava epigrammi in greco, in latino e in italiano; suonava la vivuola e il liuto e cantava egregiamente; e si notava per meraviglia che con la vivuola, oltre il liuto, soleva musicalmente suonare una parte, unendovene un’altra con la voce: «Cum ad hendecachordum canis (le dicea il Patrizi), cum acutam gravemque eodem utramque tempore alteram ad lyram pulsas, alteram cantas Gratiæ te omnes ornant, circumstant, stupescuntque.» (Poniamo queste parole latine perchè le nostre belle lettrici provino se qualche professore ne sa più di loro). E questa donna, secondo lo stesso Patrizi, s’era avvolta per gli spineti della logica, pei verzieri della filosofia morale, pei nervi e i muscoli della fisiologia, e s’era invasata tutta quanta la teologia cattolica senza perdere punto della sua grazia, della sua festività, della sua gentilezza.
Il 7 febbraio 1560 sposò Paolo Porrino, che morì il 30 agosto 1569, e la lasciò erede usufruttuaria di tutti i suoi beni per tutta la vita di lei. Ed ecco che oltre le spine della logica e della teologia si trovò avvolta in ventidue capi di lite. Un tal Geminiano Patini la aiutò a stralciare queste nuove difficoltà, e con gran fervore, essendo un po’ innamorato: credè pertanto aver acquistato qualche merito con