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Teresa Bandettini. | 21 |
Un generale francese, il Miollis, che civettava co’ letterati italiani, n’andò preso, raccolse i versi di lei, fino ai frammenti, rimasti nella memoria degli ammiratori di cento città, e questo Nembo in guerra e zeffiretto in pace, come lo chiamava la poetessa, li soffiò nel pubblico in una bella edizione veronese nel 1801. V’è secondo l’uso del tempo troppa mitologia — non della mitologia viva, rinnovata dalla scienza moderna, sì di quella che fioriva nei boschetti di Arcadia. Ma i lampi di fantasia abbondano: v’è affetto, delicatezza, e sopratutto una vena facile e pura di verso. Ella improvvisava davvero. Appare chiaramente, come notò il Fornaciari, da quel fare repente, brusco, e quasi di torrente, ch’alta vena preme.
Messa alla tortura di mille prove e riprove, non fece mai fallo. A Roma in un’accademia trattò uno stesso tema otto volte, in vario metro. Onde non è da stupire che menasse gli spirti con la sua rapina. Il cardinal Bernis in piena Arcadia disse che in altri tempi, per quelle sue magie poetiche, l’avrebbero arsa. Ella conquistò i suffragi non solo del Pignotti, del Bettinelli e del Monti, ma del Parini e dell’Alfieri, che lodò colei che tanto valea
nell’arte perigliosa
e con quel suo fare originale dicea dell’etrusche improvvisanti strozze:
Nasce appena il pensiero, e già s’innostra
Di poetico stil, nè mai vien mozza
La voce, o dubitevole si prostra,