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mente, che lo resero carissimo a quanti ebbero la fortuna di avvicinarlo. Gli è nelle amichevoli conversazioni, nei privati colloqui che più luminosamente sfolgoravano quella sconfinata erudizione, quella memoria prodigiosa, quella lucidità di mente, quella dolcezza di modi, quella arguzia spontanea, che sapevano concigliargli la simpatia, l’amore, la stima di tutti. Ah! ci par sempre di vederlo, il caro vecchietto, spuntare tra gli alberi del bastione di Porta Venezia, con quel suo modesto pastrano, colla testa leggermente inclinata sull’òmero destro, colle labbra composte ad un dolce sorriso, quando dall’Accademia di Piazza Cavour egli si recava alla Mezza lingua, a consumare il frugalissimo desinare. — Tant’è! Il più insigne bibliografo del nostro tempo era giunto a fabbricarsi, una posizione così splendida, che gli permetteva di regalarsi un pranzo in una trattoria suburbana, la cui spesa arrivava di solito ad una lira e cinquanta centesimi. Ma, lasciando da parte l’ingratitudine, a cui accenna l’epigrafe dello stele elevatogli al Camposanto, è dovere dichiarare che Camerini non ebbe soltanto paura di chiedere, ma ebbe sempre paura di accettare checchessia da chi che si fosse; e ciò serve a spiegare, sinteticamente, il suo grande carattere. Mentre avrebbe potuto occupare alti posti, sedere alle mense dei soddisfatti, godere titoli, ricchezze, onori, egli non chiese, nè desiderò, nè volle mai nulla. Esempio ben raro, e forse inimitabile, specialmente oggidì. Ma Camerini aveva per sè la scienza, vasta e profonda, che valeva assai più di qualsiasi maggiore compiacenza mondana.
Pur troppo questo bene supremo è dato a pochi di con-