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O Tolomeo, ti loderai del senno,
Che tuttavia sì chiuso al vero mira;
Tu madre ascolta ciò ch’ora ti accenno.
Isola piccioletta in mar si aggira,
Che non ha propria stanza, e come foglia
Va secondo che Noto od Euro spira:
Liete accoglienze di benigna soglia
Là troveremo; e di fuggir più presto
A tal sermone ogn’isola s’invoglia.
Tu, Asteria, dall’Eubea scendevi in questo
Le Cicladi a trovare, e i lidi pieni
Mostravi ancor dell’alga di Geresto; 22
Veduta la dolente il corso affreni,
E a lei porgendo le pietose braccia,
Vieni dicesti a me, Latona, vieni.
Adempia Giuno la crudel minaccia,
Esser non calmi a sue vendette scopo.;
Qui terminò la faticosa traccia
Latona, e al margo si corcò d’Inopo 23
Più ricco allor, che più con larga vena
Cade il Nilo dal suo capo Etiópo,
E al pedal d’una palma inchina, e piena 24
Le membra di sudor discinse i panni,
E disperata nell’immensa pena:
Perchè, figlio, così la madre affanni?
Noi siam venuti all’isoletta bella
Usata aprir per l’oceano i vanni.
Nasci, nasci, diceva. Aspra sorella,
Di Giove all’ira tua già non convenne
Aspettarne lung’ora in ciel novella.
Spiegò per l’aria le dipinte penne
Iride la veloce messaggiera,
E anelando e temendo a te divenne,
E cominciò: Tu prima infra la schiera
Sei delle Dive, ed io la tua suggetta,
L’umile terra e la superna spera