Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/229

     Spergiuri in prova con suo grave danno
     Chi c’è nemico), che al mio cuor non sei
     Diletta men, che se tu fossi uscita
     Da questo seno, e se mi fossi in casa
     90Ultima prole verginella. E certo
     Ascoso a te nol credo. Or tu non dirmi,
     O caro frutto mio, ch’io te non curo.
     E bench’io lagrimassi anco più spesso,
     Che Niobe da’ bei crin, degna è di scusa
     95Madre, che piagne un tormentato figlio,
     Cui prima di veder, ben dieci mesi
     Portai nel sen con gravi doglie, e quasi
     Fui di Pluto sospinta alle gran porte:
     Tante recommi il partorirlo ambasce.
     100Or ei solo partì nova contesa
     A fornir vôlto, ed io non so, meschina,
     Se ritornato da lontan paese
     Abbraccerollo, o no. Turbommi ancora
     In mezzo a’ dolci sonni un tristo sogno,
     105E temo non l’infesta visïone
     Ministra sia d’avversi casi ai figli.
     Parvemi il mio robusto Ercole avente
     Ben lavorata zappa infra le mani,
     Onde a’ confin d’un verzicante campo
     110(Quasi preso a mercè) facea gran fossa,
     Spogliato senza pur gabbano, o giubba
     Fasciata al petto. Quando venne a fine
     Di suo lavoro, ed ebbe fatto intorno
     Al vitifero suol forte riparo,
     115Piantato il ferro in rilevata piaggia
     Stava per rivestir gli usati panni;
     Quand’ecco fuor della profonda fossa
     Lampeggiò tosto un indefesso foco,
     E al figlio s’avvolgea l’immensa fiamma.
     120Ma questi sempre addietro ritorcea
     Le snelle piante di fuggir bramoso