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Ella anzi vespro al suo speco tornava
Sazia, di carne e sangue, e tutta intorno
Le sozze giube e il truce volto, e il petto
Intrisa era di stragi, e con la lingua
Intorno intorno si leccava il mento.
Or io m’ascosi fra le ombrose frasche
D’un’alta macchia ad aspettarla al varco.
Quando venne il lion vibraigli un dardo
Nel manco lato invan; chè il ferro acuto
Non penetrò la carne, e rimbalzando
Cadde sull’erba verde. Ei levò tosto
Attonito dal suol la fulva testa,
Lo sguardo osservatore in giro torse,
E mostrò quanti avea protervi denti.
Allor scoccai, dall’arco un’altra freccia,
Doglioso della prima andata a vuoto,
Scagliaila in mezzo al petto ov’è il polmone:
Ma nè pur questo trapassògli il cuojo
Dolorifero strale, e innanzi a’ piedi
Senza far breccia cadde. Io pien di rabbia
Presi la terza volta a tender l’arco.
Ma gli occhi stralunando mi scoperse
L’insaziabil belva, e la gran coda
Alle ginocchia intorno ravvolgendo
Meditava battaglie. Il collo empiessi
D’ira, e le rosse chiomę s’arricciaro
Sul minaccioso capo. Un arco feo
Di sua schiena curvando i lombi e i fianchi.
Come quand’uom fabbricatore esperto
Di cocchi, i rami di selvaggio fico
Atto alla scure in pria riscalda al foco,
E torce in rote di volubil cocchio,
Mentre il legno di dura scorza incurva,
Di man gli scorre, e va lontan d’un balzo;
Così il truce lion tutto d’un salto
Per isbranarmi di lontan s’avventa.