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Guardator delle strade. Ei, com’è fama,
Sovr’ogn’altro Celeste a sdegno prende
Chi schivo niega al viandante aita.
Già non han tutte le lanute gregge
Del regnator Angea nè un pasco istesso,
Nè un territorio sol; ma pascon altre
Alle rive del rapido Elisunte,
Altre lungo le sacre onde d’Alfeo,
Altre sovra il vitifero Buprasio,
Ed altre qui d’intorno. Ha ciascun gregge
L’ovile a parte. I numerosi armenti
Han però tutti ai gran paduli intorno
Del Menio lor pasture sempre verdi,
Poichè le rugiadose praterie,
E i piani uliginosi in gran dovizia
Metton erbe soavi, onde a’ cornuti
Tori vigor s’accresce. Alla tua destra
Oltre il corrente fiume appar ben tutta
La stalla lor; colà dove perenni
Platani sono, e pallido oleastro,
Inviolabil tempio al Nomio Apollo
Perfetto Nume, o forestier, s’innalza.
Quinci in diritto edificati sono
Lunghi ostelli per noi cultor de’ campi,
Che tante inestimabili ricchezze
Fedelmente guardiamo al re, spargendo
Sovra i maggesi or tre fiate or quattro
Arati la semenza. I lor confini
Son noti a’ vangator, che affaccendati
Traggono ai torchi nella piena estate.
Tutto questo è terren del lieto Augea,
Piagge fertili in grano, e gran boscaglie
Fino a’ gravidi d’acque estremi gioghi,
Ove ogni di attendiamo a’ lavor propri
De’ servi, che dimorano in campagna.
Or tu mi svela, e pro saratti ancora,