Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Disse, per niun rispetto a me s’asconda.
Poichè, vate Everide, a te sì saggio
Ben so dir che i mortali unqua non ponno
Fuggir quel che la Parca al fuso attorce.
Tal parlò la reina; ed ei rispose:
Fa cuor, madonna, genitrice illustre,
Buon sangue di Perséo. Pel dolce lume,
Che già dagli occhi mi sparì, tel giuro,
Ben molte Achive il morbido filato
Intorno alle ginocchia dipanando
Vér sera a nome canteranno Almena,
E sarai lor di riverenza obbietto.
Tal magnanimo eroe sarà il tuo figlio,
Che leverassi allo stellante Cielo,
È tutti vincerà mortali, e belve.
Compiute, ch’egli avrà, dodici imprese,
È suo destin, che alberghi in casa a Giove,
E la Trachinia pira avrà il suo frale.
Ei genero pur anco appellerassi
Di que’ Numi, che gli angui suscitaro
A scempio del garzon dalle lor tane.
Verrà quel giorno ancor, che il lupo armato
Di denti a sega troverà sul covo
Il capriolo, nè faragli oltraggio.
Or tu, madonna, fa che pronto v’abbia
Sotto cenere il foco, e legna secche
Di paliur, d’aspalato, o di rovo,
O di scosso dal vento arido acherdo.
Su queste agresti schegge i due serpenti
Di mezza notte abbrucerai, nell’ora
Ch’erano intesi a recar morte al figlio.
Poi raccolta la cenere dal foco
Sull’alba, una tua serva tutta quanta
La rechi al fiume, e getti in rotte pietre
A seconda del vento, e torni tosto
Senza voltarsi. La magion con fiamma