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La lucid’alba ancor? Caro consorte,
Qualche nova avventura in casa abbiamo.
Tal disse; egli a’ conforti della moglie
Immantinente si lanciò dal letto
E corse ad afferrar l’industre brando,
Che sempre appeso stava in capo al letto
Di cedro a una caviglia. Il novel cinto
D’una man tolse, e la guaìna egregio
Lavor di loto sorreggea con l’altra.
L’ampio talamo allor tutto di nuovo
Intenebrossi. Ei chiamò forte i servi
Che stavano alitando un cupo sonno.
Presto correte, servi, a prender fiamma
Al focolare, e le gagliarde spranghe
Recidete alle porte. Ah! su, sorgete,
Vigorosi famigli. Ei tal gridava.
Questi ben tosto con lucerne accese
Accorser tutti, e se n’empiè la casa.
E com’ebber veduto il pargoletto,
Che fra le molli man tenacemente
Stringeva i draghi, urlaro. Egli frattanto
I serpi verso il padre in mostra alzava
Con pueril diletto saltellando.
Poi ridendo a’ suoi piè scagliò sopiti
Nel sonno della morte i truci mostri.
Almena poscia il bilioso Ificle
In sen recossi di timor conquiso.
L’altro figlio ravvolse Anfitrione
In pelliccia d’agnello; indi si trasse
Novellamente a pigliar sonno in letto.
La terza volta il gallo omai cantava
Sul fin dell’alba, e Almena a sè chiamato
Il profeta veridico Tiresia
Contògli il nuovo caso, e saper volle
Qual fine avrìan le cose: E quando il cielo
Su noi mediti pur qualche sciagura,