Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/191

     Ma quando a mezza notte, in vèr l’occaso
     L’Orsa si volve ad Orion vicina,
     E questi gira l’ampio tergo in mostra,
     L’insidïosa Giuno allor due draghi
     Feroci mostri, che in cerulee spire
     Arricciavansi orribili, sospinse
     Vèr l’ampie soglie sottoposte a’ cavi
     Usciali della casa, ed aizzògli
     A divorare il pargoletto Alcide.
     Ambo le pance al suol di sangue ingorde
     Tortuosi strisciavano, o dagli occhi
     Metteano in lor cammino atre faville,
     E sputavan mortifero veneno,
     Ma posciachè lambendosi fur giunti
     Presso ai garzon (tutto osservando Giove),
     D’Almena i cari figli si destaro,
     E s’allumò la casa. Ificle tosto
     Gridò al mirar ch’ei fe’ sul cavo scudo
     Le mostruose belve, e i sozzi denti.
     Volto a fuggir, cacciò da sè coi calci
     La morbida coperta. Ercole i draghi
     Prese all’incontro fra le mani, e in grave
     Nodo gli strinse, e a’ micidiali il gozzo
     Afferrò, dove stanno i rei veneni
     Fin dai Numi abborriti. Essi avvinchiaro
     Il tardi nato bambinel di latte,
     Che sotto la nutrice unqua non pianse.
     Poi disnodar la travagliata schiena
     Tentando scior l’inevitabil laccio.
     Almena in prima udì ’l romore, e scossa,
     Ah! sorgi, disse Anfitrion; me stringe
     Un timor neghittoso. Ah! sorgi, e lascia
     Pur di calzarti i piè. Non odi come
     Alte grida il minor figlio, e non vedi
     Come tutte risplendon le pareti
     A quest’ora di notte, e non apparve