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Pur oltre, e con la man disegna i colpi.
Ma di Tindaro il figlio, in cima al mento
L’assalitor percote; ei più che mai
Precipitoso il guerreggiar rinforza,
E smisurato gli sta sopra in atto
Di tracollare al suol. Festoso plauso
Fanno i Bebrici; al pro’ Polluce altronde
Coraggio fan gli eroi temendo pure,
Che il peso di quest’uom simile a Tizio
In qualche stretto non l’opprima e schiacci.
Ma il figliuolo di Giove or quinci, or quindi
Si reca innanzi, e ad ambe man lo strazia
Con urti alterni, e soprattien l’assalto
Di quell’immenso figlio di Nettuno.
Ei di piaghe satollo si sofferma
E sputa acceso sangue. Alzàr le grida
A un tempo stesso allor tutti gli eroi
Quando alla bocca, ed alle guance intorno
Vider gli sconci lividori; e nella
Rigonfia faccia impiccioliansi gli occhi.
Il prode pur aizzaval d’ogni banda
Col minacciar de’ colpi. E quando il vide
Cagliar, vibrógli a mezzo il naso in alto
Fra ciglio e ciglio un pugno, e sino all’osso
Tutta gli aprì la fronte. Ei sì mal concio
Si rinversò supin tra l’erbe verdi.
Poi surto rincalzò l’atroce mischia.
L’un l’altro s’ammaccavan con le botte.
Mortifere de’ cesti. In mezzo al petto,
E fuor del collo i colpi dirizzava
Il duce de’ Bebrici; e d’altra parte
L’indomabil Polluce gli bruttava
Di sozzi marchi il volto, e così il corpo
Spremevagli in sudor, che il fe’ d’uom grande
Ben tosto impicciolir; mentr’ei mostrava
In mezzo al faticar più grandi ognora