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Il foschetto presepio, onde s’annunzia
Tutto propizio al navigar. O amici,
E giovator degli uomini, ambo dotti
In cetera, e cavalli, e lotta, e canto.
Da Castore farommi, o da Pollace?
Ambidue canterò: ma pria Polluce.
Poich’Argo oltrepassò le due fra loro
Cozzanti rupi, e del nevoso Ponto
L’atroce bocca, alle Bebricie sponde
Con l’alma prole degl’Iddii pervenne.
Quivi per una scala un gran drappello
Venne a sbarcar dall’uno e l’altro lato
Della Giasonia nave, e giù discesi
Nella ventosa piaggia distendendo
Ivan trabacche, ed apprestando fuochi.
Castore prode cavalcante, e il fosco
Polluce divagarono in disparte
Da’ lor compagni, ed aspra selva immensa
Spiando intorno alla montagna, un fonte
Sempre vivo trovar di limpid’acqua
Sotto una liscia rupe, e più basso altri,
Che dal fondo apparìan cristallo e argento.
Grandeggiavan là presso e pini e pioppi,
E platani e cipressi alto-chiomati,
E quanti sul finir di primavera
Nei prati vengon su fiori odorosi,
Dolcissimo lavoro all’irte pecchie.
Quivi sedea al meriggio un uom bizzarro,
Orribile a veder, che in fiera guisa
Da’ pugni fracassate avea le orecchie.
Tondeggiava alto il petto, e il largo dosso
In ferrugigne carni somigliava
Martellato colosso, e sotto agli alti
Omeri fuor delle robuste braccia
Risaltavano i muscoli quai pietre
Rotonde, cui torrente vorticoso