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Le prische guerre? Ulisse ancor, che cento
E venti mesi andò per tutto errando,
E vivo entrò nell’Erebo profondo,
E all’antro s’invelò del rio Ciclope,
Non lungo onor raccolto avrebbe; e in muto
Obblìo starebbe il buon percaro Eumèo,
E l’operoso reggitor d’armenti...
Filezio, ed il magnanimo Laerte,
Se non giovava lor d’Omero il canto.
Gran fama all’uom vien dalle Muse. I vivi
Le sostanze disperdono de’ morti.
Ugual fatica è noverar sul lido.
Quanti flutti sospinge a terra il vento
Col mare azzuro, oppur con limpid’acqua
Lavar matton fangoso, e piegar uomo
Vinto dal lucro. Addio chiunque è tale.
Ben aver puote innumerabil somina:
Sempre fia schiavo di più ingorde voglie,
Io l’onoranza, e l’amicizia altrui
A molti preporrò muli, e cavalli.
Vo in traccia di mortali, a cui mi renda
Accetto con le Muse. Erte le vie
Del canto son senza le Muse figlie
Di Giove alto-veggente. Il Ciel non anco
Stancato s’è di guidar mesi ed anni;
Molti cavalli a trar seguiteranno
Le rote del gran cocchio. Ah! verrà certo
Quell’uom, che avrà mestier de’ versi miei,
Oprando quanto il grande Achille, o il fero
Ajace al pian di Simoente dove
D’Ilo Frigio è la tomba. Or già i Fenici,
Che stan di Libia nel calcagno estremo
Sotto il cadente Sol gelan d’orrore.
Con le mezz’aste i Siracusj alzate
Già imbracciano di salce i gravi scudi,
E uguale a’ prischi Eroi Geron fra loro