Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Delle ricchezze fan; ma parte al vivere
E ne assegnano parte ad un poeta.
Giovan molti parenti, e molti estranj,
E ognor d’offerte a’ Numi colman l’are.
Non son d’ospizio avari, e sol da mensa
Carezzando accomiatano l’amico,
Quand’ei pur vuol partire, e sommo onore
A’ santi secretarj delle Muse,
Fan per aver buon nome anche sotterra,
Nè pianger lungo il gelido Acheronte
Abbietti come chi, tutto calloso
Dalla zappa le man, piange la dura
Mendicità, ch’ereditò dagli avi.
A molti e molti servi entro i palazzi
D’Antioco, e d’Aleva dispensata
Era la provvision di mese in mese.
Molti vitelli e ben forniti buoi
De’ Scopadi alle stelle ivan mugghiando;
E mille e mille ancora ai paschi estivi.
Elette agnelle nel Cranonio suolo
Guidavano i pastor de’ buon Creondi,
Liberali d’ospizio: e niun piacere
Gli avrìa seguiti dappoichè versaro
I cari spirti lor nell’ampia barca
Del lurido Acheronte, e senza nome
Spogliati d’ogni ben dovrìan giacersi
In mezzo a lagrimosa estinta turba
Per lunghe età, se il gran cantor di Ceo
Col vario suon di molticorde lire
Non feagli ir chiari infra le tarde genti.
E ben n’ottenner vanto anco gli snelli
Corsier, che inghirlandati ritornaro
Dai sacri agon. Chi conosciuto avrebbe
I gran signor fra i Licj, e chi i Priamidi
Chiomati, o Cigno in femminil sembiante,
Se i cantor non ci avessero lodate