Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/138

128 idilli

     Son le pasture, e pien di latte i seni,
     E ben pasciuti gli agneletti, dove
     Vien la vaga fanciulla; al suo partire.
     Il pastorello inaridisce, e l’erbe.
dafni
Ivi son pecorelle, ivi son capre
     Di doppio parto, e gli alvear fan colmi
     Le pecchie, e van più ritte in su le querce,
     Ove il piè move il bel Milon; s’ei parte,
     Si diseccano in un bifolco e vacche.
menalca
Becco, marito delle bianche capre,
     E voi, simi capretti, a ber venite
     Qua dove l’alta selva più declina.
     Qui è Dafni. Va, o castrato, e di’ a Milone,
     Che il Nume Proteo ancor pascea le foche.
dafni
Non di Pelope il suol, nè aver mi curo
     Talenti d’or, nè di passar correndo
     Innanzi a i venti, ma tenerti in braccio
     Sotto un masso cantando, e mirar l’agne
     Lungo il siculo mar raccolte al pasco.
menalca
Troppo alle piante è grave danno il verno,
     L’arsura ai campi, agli augelletti il laccio,
     Alle fere le reti, all’uom l’amore
     Di tenera donzella. Ahi, Padre Giove!
     Non son io sol: tu ancor le donne amasti.
Così alternaro i due garzoni il canto.
     Poi nuova gara incominciò Menalca.
menalca
Lascia stare i capretti, o lupo, e il branco,
     Che ha già figliato, e non mi fare oltraggio,
     Perch’io picciol vo dietro a sì gran mandra.
     Qual cupo sonno, o can Lampur, ti prese?
     Non dee dormir sì forte un che fa guardia