Sì dissi. Ei, sorridendo come pria,
Diemmi in premio del canto il suo vincastro.
Poi piegando a sinistra la via prese
Vêr Pissa; io con Eucrito e il vago Aminta
A casa ci avvìam di Frasidamo.
Ivi su letti ben cedenti al basso
Di molle giunco e pampani ben freschi,
Festosi ci adagiammo, e a noi sul capo
Scotean lor rami i folti pioppi e gli olmi.
E colà presso fuor d’un antro uscìa
Mormorando un ruscel sacro alle Ninfe.
Su i frondosi arbuscelli le cicale
Innamorate del calore estivo,
Faticavan nel canto, e la calandra
Stridea da lunge fra spinose macchie.
Cantavan lodolette, e cardellini,
La tortora gemea, scorreano a volo
L’api dorate intorno alle fontane.
Tutto spirava un’ubertosa estate,
Spirava autunno. Largamente ai lati
Ruzzolavan le mele, ai piè le pere,
E curvi i rami di susine carchi
Scendeano a terra. Dalle botti il vino
Del quarto anno spillava. O voi, Castalie
Ninfe, custodi del Parnasio giogo,
Vedeste mai, che nel petroso speco
Di Folo un nappo tal Chirone antico
Ponesse innanzi Alcide? o quel sì forte
Pastor d’Anapo, che scagliava i massi
Polifemo a danzar per le sue stalle
Un nettare invogliò pari a quel vino,
Cui dell’Areal Cerere agli altari
Apriste, o Ninfe, allor sì larga via?
Voglia il Ciel, ch’io di nuovo in sì gran massa
La pala cacci, e ch’ella rida avente
Ad ambe man papaveri, e covoni.