Questo vincastro a te vo’ dar, che sei
Tutto in ver del gran Giove opra e germoglio.
Troppo m’è in odio artefice, che tenti
Alla cima uguagliar d’Oromedonte
Un abituro, e sonmi in odio ancora
Quegli augei delle Muse, che gracchiando
Emuli a fronte del Cantor di Scio,
Spendon in van lor opra. Or diam principio,
O Simichida, ai pastorecci carmi.
E vedi, amico, se ti piace un brieve
Canto, ch’io dianzi meditai sul monte.
Ageanatte un navigar felice
In Mitilene avrà; quand’Austro ancora
De’ Capretti al cader le lubric’onde
Incalza, e i piè ferma Orion sul mare,
Sol che Licida salvi arso d’amore,
Amor, che per lui stemprami in faville.
E gli Alcioni appianeranno i flutti,
Il mare, e Noto, ed Euro, che l’estreme
Alighe move; gli Alcioni grati
Alle azzurre Nereidi su quanti
Campan augelli di marine prede.
Tutto ad Ageanatte disìoso
In Mitilene andar comodo sia
Per approdar in salvo. Ed io quel giorno
O d’aneti, o di rose, o di viole
Bianche tenendo una ghirlanda in capo,
Sdrajato al focolare, il vin di Ptelea
Sorbirò a una giara; alcun sul foco
Arrostirà la fava, e un letticello
Alto un cubito avrem tutto contesto
Di gnizza ed asfodillo, e flessile appio.
Berò soavemente alla salute
D’Ageanatte, e terrò sempre il labbro
Attaccato ai bicchier fino alla feccia.
Due Pastori, un d’Arcania, un di Licopi