Nè potea alcuno errar, poichè un capraro
Ei somigliava a maraviglia. Il tergo
Copriagli di un velloso ed irto becco
Rossa pelle olezzante fresco caglio.
Un mantel vecchio avea serrato al petto
Con pieghevol cintura, e d’oleastro
Un ricurvo baston nella man ritta.
Ei col riso sul labbro il guardo gira
Socchiuso a me placidamente, e dice:
Simichida, in qual parte or sul meriggio
Hai volto il piè, quando il ramarro dorme
Entro alle siepi, e neppur vanno attorno
Le sepolcrali allodole? Sei forse
Chiamato in fretta a un pasto? o calchi il torchio
D’un qualche cittadin? Poichè ogni sasso,
Mentre tu vai, nei piè ti batte, e cigola
Sotto le suola. Io gli soggiunsi allora:
O Licida diletto, ognun t’appella
Infra i pastori e i mietitor sovrano
Sonator di sampogna, e assai ne godo,
Benchè a mio creder d’agguagliarti io spero.
Questo cammin va alle Talisie; poi
Che una brigata d’uomini prepàra
Di sue ricche primizie un bel convito
Alla velata Cerere, ch’empièo
A lor con larga man di messi l’aja.
Ma poich’abbiam comune il calle e il giorno,
Su via cantiamo, e l’uno e l’altro aita
Ci darem forse. Io delle Muse acceso
Mi sento il labbro, e d’ottimo cantore
Tutti nome mi dan. Ma affè del mondo
Nol credo di leggier. M’avvegg’io stesso,
Che ancor non vinco il valoroso Samio
Sicelida, o Fileta, e son qual rana
A petto a’ grilli. Io così dissi ad arte.
E il caprar sorridendo a me rispose: