Ma fe’ impudica, e senza onor fanciulla.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
Tre volte libo, e sì tre volte ancora,
O Diva, esclamo. O femmina al suo fianco
Sieda, o garzon, tal ei di lor si scordi,
Qual d’Arianna dalle vaghe chiome
Teseo scordossi, com’è fama, in Nasso.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
L’ippomane è fra gli Arcadi una pianta,
Onde tutti i puledri e le cavalle
Indomite pe’ monti in furor vanno.
Tal vedess’io dalla lucente lizza
Trar Delfi furibondo il piè qua dentro.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
Delfi perdè quest’orlo della vesta,
Che or do pel pelo alle voraci fiamme.
Ahi, ahi spietato Amor! perchè al mio corpo
Affisso qual palustre sanguisuga
Tutto a quest’ora ne bevesti il sangue?
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
D’una pesta lucerta un’aspra beva
Domane appresterò. Ma prendi intanto,
Testili, questi sughi e n’ungi in alto
Il limitar di Delfi, a cui con l’alma
(Nè a lui ne cal) son anco avvinta, e poscia
Sputando di’: L’ossa di Delfi io spargo.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
Or, che soletta sono, e come, e d’onde
A sfogare il mio amor farò principio?
Chi tanto mal recommi? Anasso figlia
D’Esbulo andava coi canestri in mano
Di Cintia al bosco. Molte fiere intorno,
Ed una dionessa avea fra quelle.
Intendi, o Luna, onde il mio foco è nato.
Or la nutrice Teucarila Tracia
Di beata memoria un dì pregommi,