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di teocrito 97

     L’uve mature, e l’altra insidie tende
     Del fanciulletto alla bisaccia, e dice
     Di non voler partir, se pria nol lascia
     Di colazion voglioso a bocca asciutta,
     Questi una bella trappola da grilli
     Di spighe ordisce, e intrecciala co’ giunchi,
     Nè tanta ha cara di bisaccia o vigna,
     Quanto ha diletto del lavor che intesse.
     Per tutto il nappo ancor vola all’intorno
     Il molle acanto, eolico prodigio,
     Che il cor t’incanterà di maraviglia.
     Per esso a un barcajuol di Calidone
     Diedi in prezzo una capra, e una gran torta
     Di bianco latte. Nè al mio labbro ancora
     Il nappo s’accostò: lo serbo intatto,
     E di buon grado te ne fo presente,
     Se quell’inno soave a me ripeti.
     Nè già s’invidio, o caro. Ah! non vorrai
     Serbar tuo canto all’oblioso Pluto.
tirsi
Sciogliete, o care Mase, un canto agreste.
     Questi è Tirsi dell’Etna, e questa è voce
     Di Tirsi. Ove mai foste, o Ninfe, allora
     Che Dafni si struggea? Fra’ bei boschetti
     O di Peneo, o di Pindo? Ah! non d’Anapo
     La gran corrente allor dievvi ricetto,
     Nè il giogo Etneo, nè le sacr’onde d’Aci.
Sciogliete, o care Muse, un canto agreste.
     Su lui cervieri, e lupi urlaro, e pianto
     Fino un lion del bosoo avria sua morte.
Sciogliete, o care Muse, un canto agreste.
     Molte vacche a’ suoi piè, molte vitelle,
     E molti mugolar giovenchi e tori.
Sciogliete, o care Mase, un canto agreste.
     Primier dal monte calò giù Mercurio:
     E chi mai fa di te sì crudo strazio,