L’uve mature, e l’altra insidie tende
Del fanciulletto alla bisaccia, e dice
Di non voler partir, se pria nol lascia
Di colazion voglioso a bocca asciutta,
Questi una bella trappola da grilli
Di spighe ordisce, e intrecciala co’ giunchi,
Nè tanta ha cara di bisaccia o vigna,
Quanto ha diletto del lavor che intesse.
Per tutto il nappo ancor vola all’intorno
Il molle acanto, eolico prodigio,
Che il cor t’incanterà di maraviglia.
Per esso a un barcajuol di Calidone
Diedi in prezzo una capra, e una gran torta
Di bianco latte. Nè al mio labbro ancora
Il nappo s’accostò: lo serbo intatto,
E di buon grado te ne fo presente,
Se quell’inno soave a me ripeti.
Nè già s’invidio, o caro. Ah! non vorrai
Serbar tuo canto all’oblioso Pluto.
tirsi
Sciogliete, o care Mase, un canto agreste.
Questi è Tirsi dell’Etna, e questa è voce
Di Tirsi. Ove mai foste, o Ninfe, allora
Che Dafni si struggea? Fra’ bei boschetti
O di Peneo, o di Pindo? Ah! non d’Anapo
La gran corrente allor dievvi ricetto,
Nè il giogo Etneo, nè le sacr’onde d’Aci.
Sciogliete, o care Muse, un canto agreste.
Su lui cervieri, e lupi urlaro, e pianto
Fino un lion del bosoo avria sua morte.
Sciogliete, o care Muse, un canto agreste.
Molte vacche a’ suoi piè, molte vitelle,
E molti mugolar giovenchi e tori.
Sciogliete, o care Mase, un canto agreste.
Primier dal monte calò giù Mercurio:
E chi mai fa di te sì crudo strazio,