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— Ma, monsignore! esclamò don Giorgio, con un certo qual impeto che rivelava di già il futuro tribuno, ho l’onore di dirvi che la mia coscienza mi vieta assolutamente di trattare una simile causa, nel senso che voi m’imponete. Il canonico ha tutte le ragioni del mondo, ed io non esiterei un istante ad assumermi la sua difesa.

— Non si tratta della vostra coscienza, replicò stringendosi nelle spalle l’arcivescovo; si tratta del vostro dovere, e il vostro primo dovere è quello d’obbedirmi in tutto e per tutto.

— Domando perdono, monsignore; è mio dovere d’obbedirvi in ciò ch’è lecito e onesto, e siccome quello che esigete da me non mi pare nè onesto, nè lecito, io mi rifiuto ricisamente.

Il prelato, personaggio per la sua posizione, pel suo valor personale e per le sue aderenze possentissimo, e quanto possente, altrettanto temuto, trasecolava nel vedere che quel giovine e semplice prete, ch’erasi immaginato far suo strumento da maneggiare a proprio grado, osasse ribellarsi di tal guisa ai suoi voleri cui grandi omaccioni inchinavansi.

Allora, fosse che gl’importasse veramente che quella causa venisse patrocinata dall’Asproni, di cui gli eran noti l’abilità e i talenti, fosse che gli stesse a cuore di trionfare di quella temeraria opposizione e di far rientrare ad ogni patto nell’obbedienza il riottoso, l’arcivescovo mise in opra tutti i mezzi possibili, ammonizioni, promesse, lusinghe, preghiere e minacce, senza menomamente pervenire a vincere la costanza dell’Asproni.

Da quel momento la guerra fu dichiarata, guerra terribile, senza tregua e senza mercede, dal possente prelato all’umile prete; questi, non ostante il suo coraggio e la sua fermezza, tormentato, perseguitato, insidiato, dovette alla perfine cedere il campo, nascondersi, fuggire e ricoverarsi a Cagliari.

Nè colà stette molto tempo tranquillo, chè il lungo braccio di monsignor Bua il raggiunse ivi pure e il fe’ minacciare d’esilio dalle autorità ecclesiastiche. Ma l’Asproni non era tal uomo da sgomentarsi così di leg-