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dopo l’armistizio Salasco, dolorosi fatti che indussero il conte di Cerro a refugiarsi a Bologna, ove visse vita privata.

Saputo colà dalla polizia austriaca, gli fu fatto offrire, onde rimpatriasse, con qual fine non si sa bene, un passaporto valevole per due anni; ma egli rifiutò d’accettarlo.

Al primo annunzio della ripresa delle ostilità tra l’Austria ed il Piemonte, l’Annoni consentì di buon grado ad assumere il comando degli Svizzeri di Latour, ed affrettando per quanto seppe e potè la partenza di quel corpo, impaziente com’era di giungere sul luogo dell’azione, il precedette a Genova, ove però non sì tosto giunto, apprese, con qual animo nol diciamo, l’infausta notizia del definitivo disastro di Novara.

Le deplorabili conseguenze di cotanto danno non tardano a manifestarsi successivamente nelle varie province d’Italia, ed al conte di Cerro toccata malaventura di trovarsi impossente spettatore di quelle funeste catastrofi.

A Genova, per la prima, scoppia l’insurrezione, ultimo conato di quel cieco e odioso partito che non rifuggiva dal poggiarsi anche sui rancori e le gare di municipio — eterno guajo d’Italia! — onde tentar di conseguire un impossibile o effimero, ma sempre sanguinoso trionfo, e l’Annoni, fremente in ogni fibra, è costretto d’assistere alla lotta fratricida.

A Firenze, quindi, è testimone di quel moto cittadino che fu detto la restaurazione, moto cui presero parte tanti cospicui personaggi che se l’ebbero a rimproverare sì amaramente dipoi, ma che pur agirono anche in quell’occasione con retto intendimento d’amor patrio, e alcuni de’ quali l’errore involontario commesso in tal circostanza hanno ampiamente riparato in questi ultimi tempi.

A Bologna, infine, egli è presente all’assedio, assiste all’eroica difesa di quel popolo quasi inerme, e dopo la capitolazione e l’ingresso degli Austriaci, rimane alcuni giorni nascosto, poi, quando la sorveglianza è alquanto rallentata, fugge travestito e perviene sino alla frontiera toscana.